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I FEDERALISTI E LA CRISI ITALIANA
L’Italia sta attraversando una fase di crisi estremamente grave in cui è in pericolo la tenuta dello stato democratico e, quindi, l’attiva partecipazione del paese al processo di unificazione europea. Il MFE deve prendere una posizione chiara e articolata su questa situazione se vuole essere una componente attiva e riconosciuta del dibattito politico italiano. Deve pertanto non solo sforzarsi di fornire una analisi convincente, ma anche presentare delle proposte concrete per quanto riguarda la risposta politica alla crisi italiana. In questa prospettiva propongo alcune considerazioni orientative.
1. L’Italia in pericolo
Deve essere anzitutto chiara la gravità della crisi italiana e, al riguardo, tre mi sembrano gli aspetti fondamentali che vanno evidenziati.
– E’ in grave pericolo la coesione economico-sociale del paese.
Nel contesto generale della globalizzazione senza regole e in quello particolare della crisi finanziaria ed economica mondiale, che ne rappresenta una delle principali conseguenze, si stanno producendo in Italia fenomeni di disoccupazione, precarizzazione, esclusione sociale, povertà, peggioramento della situazione degli immigrati, arretramento di gran parte del Meridione, il cui livello apre la strada a tensioni disgregatrici del sistema economico-sociale.
La drammaticità della situazione emerge con chiarezza se si tiene presente il dilemma fondamentale di fronte a cui si trova la classe politica. Da una parte, occorre mobilitare grandiose risorse finanziarie per realizzare una generale garanzia dei redditi, la lotta all’emarginazione (che comprende una seria politica di integrazione degli immigrati), una più efficace solidarietà interregionale. Dall’altra parte, non solo non deve aumentare il debito pubblico, ma si deve perseguire una sua costante e celere riduzione, se si vuole evitare lo sbocco in una catastrofica situazione di insolvibilità dello stato. Ciò comporta un impegno di dimensioni inaudite nella lotta contro gli sprechi, le inefficienze, i parassitismi, l’evasione fiscale, l’economia illegale. L’interrogativo è la capacità di risposta del sistema politico italiano a questa sfida esistenziale.
– E’ in grave pericolo l’unità dello stato
Lo stato italiano ha una struttura debole a confronto con i partner europei più avanzati a causa della sottrazione – dovuta a una presenza mafiosa che nell’attuale situazione tende a rafforzarsi – di ampie zone del paese al controllo dello stato. E questa situazione è destinata a peggiorare ulteriormente se, per la mancanza di una forte politica d’integrazione degli immigrati, si formeranno ghetti etnici nelle grandi città. Alla strutturale debolezza dello stato italiano si aggiungono ora – a partire dalla parte settentrionale del paese e con iniziali ma significative manifestazioni nella parte meridionale – forti tendenze micronazionaliste con preoccupanti vocazioni secessioniste, che mettono apertamente in discussione il mantenimento dell’unità statale. A questo riguardo devono essere chiari due punti.
Le riforme in senso federale delle istituzioni pubbliche italiane, che costituiscono un tema fondamentale nell’attuale dibattito e confronto politico nel nostro paese, vanno considerate un fattore decisivo di rafforzamento del sistema democratico, di impulso all’efficienza amministrativa, di lotta ai parassitismi (soprattutto attraverso il principio della responsabilità fiscale: ogni livello di competenza e di spesa deve fondarsi essenzialmente su risorse proprie). Ma deve trattarsi di un federalismo qualificato da una strutturale solidarietà fra regioni forti e regioni deboli, sia sul piano economico-sociale (organizzata in modo non assistenziale), sia su quello della sicurezza (in particolare, lotta contro la delinquenza organizzata intesa e gestita come problema comune). Se mancano queste connotazioni e per di più è accompagnato da una forte presenza di comportamenti e retoriche di tipo micronazionalistico, il federalismo apre la strada alla disgregazione dell’unità statale.
Il secondo punto da sottolineare è che, proprio perché ci battiamo per la federazione europea nella prospettiva della federazione mondiale, dobbiamo essere chiaramente consapevoli – tanto più in un periodo in cui, mentre si preparano le celebrazioni del 150° anniversario dell’unificazione italiana, si alzano rumorose voci che la contestano in termini pratici e di principio – della validità politica dell’unità statale italiana, che una adeguata riorganizzazione in termini federali renderebbe più solida e democratica. In effetti la messa in discussione dell’unità statale italiana è destinata a produrre danni incalcolabili, oltre che al nostro paese (in cui si scatenerebbero conflitti catastrofici), allo stesso processo di unificazione europea. E ciò sia per le spinte disgregative che verrebbero favorite in altri paesi europei, sia per il fatto che la costruzione europea (che non è ancora compiuta e che dipende perciò ancora in modo determinante dalle decisioni dei governi nazionali) non può certo fondarsi su stati paralizzati dalle loro contraddizioni interne, o addirittura su stati falliti. Va anche sottolineata in questo contesto l’inconsistenza della tesi dell’Europa delle regioni, cioè di una federazione europea di cui sarebbero membri diretti centinaia di regioni. In una simile ipotetica situazione gli stati membri sarebbero pilastri troppo deboli per sorreggere un equilibrio federale e si imporrebbe perciò fatalmente una degenerazione centralistica. L’evoluzione più probabile di un’Europa di micronazionalismi a base regionale andrebbe però in direzione di una caotica convivenza entro una cornice che potrà al massimo essere costituita da una debole confederazione.
– E’ in una situazione critica il regime democratico italiano
Il governo guidato da Silvio Berlusconi manifesta tendenze populiste che si traducono in allarmanti scelte di orientamento illiberale-autoritario. A questo riguardo vanno sottolineati in particolare: il rifiuto di risolvere un conflitto di interessi che si traduce in modo specifico in una concentrazione di potere mediatico a disposizione del premier che non trova riscontro in nessuno stato liberaldemocratico; lo sforzo sistematico di limitare l’autonomia del potere giudiziario; le leggi ad personam; l’attacco alla stampa indipendente e al pluralismo politico-istituzionale. Vanno anche segnalate le pulsioni xenofobe che inquinano la linea del governo in relazione al problema cruciale dell’immigrazione e che sono in notevolissima parte un apporto della Lega Nord e del suo peso determinante nella coalizione maggioritaria.
C’è un evidente legame fra queste tendenze e la situazione personale di un uomo che deve cercare a tutti i costi di mantenere il potere politico e di strumentalizzarlo all’imperativo di sfuggire alla resa dei conti giudiziaria per i reati commessi nell’accumulo e nella gestione del suo patrimonio privato. Di qui l’allergia verso il meccanismo dei pesi e contrappesi e pure la subordinazione ai ricatti della Lega Nord sui temi della xenofobia, e anche del micronazionalismo e dell’eurofobia. Da qui il populismo cesaristico che cerca di occultare i veri problemi e l’incapacità di affrontarli.
Gli aspetti negativi, in particolare le tendenze illiberali-autoritarie, del governo Berlusconi sono preoccupanti e il MFE non può non denunciarli. Al riguardo va sottolineato che la scelta di non legarci con una parte dello schieramento politico – si tratta di un aspetto strutturale della linea di autonomia federalista che vede la dicotomia progresso-reazione coincidente con la dicotomia fra chi è favorevole e che è contrario al federalismo sopranazionale – non può significare indifferenza o neutralità quando è in questione la democrazia (che ovviamente deve essere liberale, oltre che sociale, per essere effettiva), cioè la premessa imprescindibile della transizione al federalismo sopranazionale.
Ciò detto, non mi sembra plausibile ravvisare nell’attuale situazione italiana un concreto pericolo che si instauri una dittatura fascista. Non solo non esistono le condizioni storiche, e cioè una situazione di strutturale lotta di potenza fra gli stati europei e una forte arretratezza economico-sociale che hanno reso possibile il fascismo. Ma una simile evoluzione è contraddetta dalle tendenze micronazionaliste di una componente essenziale della coalizione governativa, le quali sono incompatibili con una centralizzazione di tipo fascista.
Piuttosto, la conseguenza più concreta è immediata degli aspetti negativi del governo Berlusconi è un’incapacità strutturale di governare. L’attività governativa è in effetti bloccata dal peso dei problemi personali del premier (compresi quelli relativi ai suoi comportamenti nella vita privata che comportano una forte ricattabilità) che sottraggono tempo e spazi decisivi all’impegno diretto ad affrontare i gravi problemi del paese. D’altro canto, la mancanza di affidabilità democratica di un governo che assomiglia a un sultanato impedisce una coerente e credibile politica sul piano internazionale e, quindi, rispetto all’unificazione europea, che è il terreno strategico su cui si gioca il futuro dell’Italia.
2. Il legame fra la crisi italiana e l’incompiutezza del processo di unificazione europea
Una risposta valida ad una crisi che apre la prospettiva di un tracollo dello stato democratico italiano deve fondarsi su di una visione chiara delle cause di questa crisi. A questo fine il contesto generale da cui non si può prescindere è rappresentato dalle contraddizioni connesse con il carattere incompiuto del processo di unificazione europea.
L’integrazione europea ha dato vita a un sistema istituzionale caratterizzato da importanti aspetti federali, ma anche dalla permanenza dei meccanismi confederali fondati sui veti nazionali in settori fondamentali quali le risorse fiscali, la politica estera e di sicurezza, la difesa, la revisione istituzionale. Il sistema della federazione incompiuta (legato in ultima analisi alla tendenza strutturale degli stati nazionali ad essere allo stesso tempo strumenti e ostacoli rispetto all’unificazione sopranazionale) ha permesso proprio per la presenza degli elementi federali grandi progressi sul piano dello sviluppo economico-sociale e, quindi, su quello della pacificazione e modernizzazione dell’Europa. Nello stesso tempo la persistenza dei limiti confederali comporta gravissimi deficit che rendono questo sistema strutturalmente precario e insostenibile e che pesano duramente sulla vita degli stati nazionali.
– C’è anzitutto un deficit di efficienza
I problemi di fondo sul piano della sicurezza economico-sociale, della sicurezza ecologica, della sicurezza pubblica interna e internazionale, della salvaguardia della libertà dei cittadini hanno dimensioni continentali e, per aspetti decisivi, mondiali, essendo connessi con lo sviluppo di una globalizzazione senza regole e con la presenza di sfide alla stessa sopravvivenza dell’umanità e a cui essa deve dare una risposta comune.
La situazione richiede imperativamente di non più rinviare la piena federalizzazione delle istituzioni europee; e richiede nello stesso tempo che si avvii seriamente la costruzione delle istituzioni globali necessarie per governare la globalizzazione in direzione di uno sviluppo equo e sostenibile e per rendere stabilmente cooperativo e funzionale alla pacificazione dell’umanità il sistema pluripolare emergente. Fra queste due improrogabili esigenze c’è un legame organico dal momento che un’Europa compiutamente federale e, quindi, pienamente capace di agire non solo è indispensabile per la sopravivenza della costruzione europea, ma è altresì chiamata a svolgere un ruolo determinante nella costruzione di un mondo giusto e pacifico.
Se il rinvio del disegno di una federazione compiuta rende impossibili risposte adeguate ai problemi di fondo di fronte a cui si trovano i cittadini, è chiaro che questa situazione condiziona in modo pesantemente negativo tutti gli stati nazionali europei e, in modo particolare, uno stato come quello italiano relativamente più debole rispetto ai partner più avanzati.
Richiamo qui alcuni esempi particolarmente significativi.
– La critica situazione economico-sociale e finanziaria italiana è chiaramente condizionata in modo decisivo dalla mancanza di un governo europeo dell’economia, che presuppone un bilancio federale con reali e adeguate risorse proprie, compresi gli Unionbonds. Un governo economico europeo realizzerebbe in effetti quella politica macroeconomica (investimenti per le infrastrutture europee nelle comunicazioni, energie rinnovabili, ricerca avanzata, sostegno per la riconversione industriale, lotta alla disoccupazione) che gli stati nazionali non sono in grado di attuare, e comporterebbe un più adeguato livello di solidarietà interstatale accompagnato da una capacità ben maggiore di disciplinare le politiche nazionali di bilancio. In mancanza di ciò la classe politica italiana si trova di fronte a compiti schiaccianti che aprono la prospettiva del tracollo.
– La sfida dell’immigrazione si può affrontare in modo valido solo con un impegno unitario e incisivo dell’Unione Europea. Un’UE capace di agire all’interno e sul piano mondiale è indispensabile: per affrontare efficacemente gli squilibri globali economici, ecologici, sul piano della sicurezza che sono all’origine delle migrazioni bibliche; per attuare una unitaria ed efficace politica dell’accoglimento (richieste di asilo, emigrazione fisiologica, diritto di voto) e la lotta contro l’emigrazione clandestina (dando sostegno agli stati più deboli ed esposti, nei quali altrimenti si affermano con forza difficilmente contenibile scelte in contrasto con i diritti umani e comunque tendenti ad esasperare i problemi); per garantire il progresso economico-sociale necessario per rendere disponibili risorse ben maggiori di quelle attuali da dedicare all’integrazione degli immigrati.
– La lotta contro la delinquenza organizzata è un problema secolare dell’Italia e può chiaramente essere condotta con effettivi risultati solo in un quadro di progresso economico-sociale e politico-democratico. L’unificazione europea è la forza trainante di questo progresso, ma per i suoi ritardi e le sue incompletezze è fonte di gravi contraddizioni. Fra queste va sottolineata la libertà di movimento ottenuta dalla delinquenza organizzata con il mercato comune (a cui si aggiunge l’eliminazione di vincoli connessa con la globalizzazione) non accompagnata dalla costruzione di una adeguata capacità sopranazionale di garantire l’ordine pubblico.
– C’è nello stesso tempo un deficit di democrazia
I sistemi democratici nazionali sono inesorabilmente spiazzati dalla dimensione sopranazionale dei problemi di fondo, ma la condizione di federazione incompiuta in cui si trova il processo di integrazione europea ha finora impedito la formazione di un sistema democratico sopranazionale pienamente sviluppato ed efficiente. Per cui il processo democratico gira a vuoto. A livello nazionale, dove la democrazia è, sul piano formale, pienamente spiegata (dal voto dei cittadini nasce il governo), non si possono più compiere scelte di rilevanza strategica. Mentre a livello sopranazionale, oltre all’impossibilità di compiere, a causa dei veti nazionali, scelte adeguate ai problemi sul campo, ciò che comunque viene deciso non ha una base accettabile di legittimità democratica.
Questa situazione, che è alla base della grave crisi di consenso di cui soffre l’integrazione europea, costituisce d’altro canto il fattore fondamentale della crisi della politica e della democrazia che caratterizza in generale i paesi europei e, in modo particolarmente acuto, l’Italia, data la specifica arretratezza del nostro stato nel contesto europeo. Quando nei cittadini si diffonde il senso dell’inutilità della partecipazione politica, dal momento che i meccanismi democratici girano a vuoto, quando non si vedono risposte consistenti alle preoccupazioni vitali dei cittadini, da una parte sono inevitabili rilevanti fenomeni di apatia politica, dall’altra conquistano spazi politici decisivi le tendenze più irrazionali – dal populismo, al micronazionalismo, alla xenofobia – che inquinano la dialettica democratica.
Il chiarire il nesso fra queste tendenze e il contesto più ampio costituito dall’incompiutezza dell’integrazione europea e dal suo rapporto con una globalizzazione senza regole non significa – sia ben chiaro – un atteggiamento giustificatorio, del tipo “comprendere, perdonare”. L’orientamento illiberale-autoritario e populistico di uomo come Berlusconi (e dei suoi accoliti) incapace di emanciparsi dalla difesa con qualsiasi mezzo dei propri interessi privati, così come le tendenze micronazionaliste, secessioniste, e xenofobe della Lega Nord (e il suo potere di ricatto sul governo Berlusconi) rappresentano un fattore di indubbia rilevanza della crisi italiana e configurano responsabilità politiche che vanno denunciate senza mezzi termini. Inquadrare queste responsabilità nel contesto più ampio della federazione europea incompiuta permette d’altro canto di comprendere più in profondità il fatto che Berlusconi e la Lega Nord, con i loro orientamenti distruttivi, hanno un consenso così ampio da condizionare pesantemente la politica italiana. E permette quindi di impostare una linea politico-strategica adeguata per affrontare validamente la crisi italiana.
3. L’impegno sopranazionale e l’impegno nazionale necessari per affrontare la crisi italiana
Se quanto detto finora è plausibile, è evidente che la linea politico-strategica necessaria per affrontare validamente la crisi italiana ha come momento trainante l’impegno per il risoluto e rapido avanzamento verso la federazione europea piena. Il passo avanti immediato è rappresentato dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e dal rafforzamento, che esso rende possibile, delle politiche comuni e, quindi, dall’avvio della costruzione di un governo economico dell’Europa e di una maggiore capacità di azione internazionale. Ma, parallelamente, deve iniziare l’impegno per il processo costituente della federazione europea con quelli che ci stanno (superando cioè il diritto di veto nazionale nella funzione costituente) e che coinvolga i cittadini europei in ogni fase del processo fino al referendum europeo conclusivo. Va sottolineato che il carattere pienamente democratico del processo costituente è un requisito fondamentale della sua efficacia e altresì per superare la crisi di legittimità del processo di integrazione europea, che della crisi generale della politica e della democrazia è una componente essenziale.
L’avanzamento verso il completamento della federazione europea richiede un decisivo impegno da parte italiana, come dimostra tutta la vicenda dell’integrazione europea, in cui le trainanti iniziative franco-tedesche hanno visto il sostegno indispensabile e rafforzativo dell’Italia D’altra parte l’impegno sopranazionale dell’Italia sarà possibile ed efficace solo se sarà integrato da un impegno vigoroso e risolutivo di risanamento interno.
Una maggiore solidarietà europea, necessaria per affrontare la grave situazione economico-sociale del paese, non può essere perseguita in modo credibile ed efficace se l’Italia non fa la sua parte – tramite una lotta senza quartiere contro gli sprechi e i parassitismi di ogni genere – per realizzare la indispensabile solidarietà sociale e interregionale, senza aumentare, ma anzi riducendo il debito pubblico, che è oltretutto un pericolo per la stabilità e funzionalità dell’unione monetaria.
Senza riforme istituzionali che, attraverso un federalismo solidale, la diminuzione dei parlamentari (e più in generale del pletorico personale politico a tutti i livelli), una seria efficientizzazione degli apparati burocratici, rendano il paese più solido e il governo più capace di agire, l’azione italiana sul piano sopranazionale è destinata a rimanere inconsistente.
E infine, senza credibilità democratica e in una situazione in cui c’è il rischio di un isolamento analogo a quanto avvenuto per l’Austria all’epoca del caso Haider, non potranno esserci e comunque nessuno le prenderà sul serio iniziative italiane per un reale avanzamento dell’integrazione europea.
E’ evidente che l’attuazione della linea necessaria per affrontare validamente la crisi italiana ha la sua premessa imprescindibile nel superamento del governo di Berlusconi. L’alternativa a questo governo che sia in grado di guidare il paese nella giusta direzione non può d’altra parte che essere un governo di emergenza. Deve trattarsi di un governo fondato su larghe convergenze provenienti da tutti i settori dello schieramento politico, che permetta di isolare e disinnescare le tendenze illiberali-autoritarie, populiste e micronazionaliste e che sia in grado di compiere le difficilissime scelte necessarie per il risanamento economico-sociale e finanziario le quali sono chiaramente al di fuori del raggio operativo della normale dialettica governo-opposizione.
Questa prospettiva può sembrare fuori dalla realtà, se si guarda staticamente alla situazione dell’attuale governo e in particolare alla maggioranza di cui dispone. Ma non è così se si prende atto con chiarezza delle contraddizioni sempre più insostenibili che minano la tenuta del governo a causa dell’enormità dei problemi del paese e dei problemi personali del premier. In ogni caso è imperativo dire la verità anche se è difficile ed è necessaria una valida linea di resistenza ad un deterioramento politico, che oltre un certo punto può diventare irreversibile.
Un sostegno chiaro e forte a questa linea, che non può non comprendere anche l’indicazione dello schieramento politico che la può portare avanti, è il contributo più importante e concreto che può essere dato alla vita politica italiana in questa fase critica in cui si gioca il futuro del paese.
La parola d’ordine valida dovrebbe essere: Un governo di unità nazionale democratica per un’Italia europea.
Sergio Pistone