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Instant paper contenente articoli ed interviste di: Jean Quatremer, Viviane Reding, Jacques Delors e Henrik Enderlein
Prefazione di Rodolfo Gargano
Trapani, dicembre 2012
Prefazione
Questo breve instant paper dell’Istituto “Mario Albertini”, che raggruppa tre scritti in francese di note personalità dell’ambiente comunitario (la traduzione è stata qui curata da Adriana Giustolisi, militante della Sezione di Trapani del Movimento Federalista Europeo) nasce sull’onda delle aspettative per la seduta del Consiglio Europeo di metà dicembre 2012, per più versi apparsa destinata a segnare una svolta decisiva al processo di integrazione europea, incagliatosi sugli scogli di una gravissima crisi che in breve si è fatta da finanziaria ad economica e sociale, coinvolgendo ormai in maniera drammatica la vita futura della moneta unica e lo stesso progetto d’unità politica dell’Europa.
In effetti, i due primi articoli che riportiamo in questa sede – tratti dal periodico francese Libération – rispettivamente del 2 e del 13 dicembre, mettono a fuoco quella che ai più sembra ormai la concreta prospettiva di uno sbocco federale del processo, che nella sostanza è francamente ammesso dalle principali istituzioni comunitarie. Per la prima volta, cioè, Bruxelles arriva ad ipotizzare una vera e propria “federazione” che, seppur limitata al solo settore economicofinanziario, rappresenta tuttavia, senza alcun dubbio, un salto di qualità nella faticosa costruzione dell’unità europea ed un reale avvicinamento alle istanze federaliste da parte dei fautori di un approccio comunitario al minimo livello. Tale scelta appare invero ben netta sia nel primo articolo, di Jean Quatremer, che nel secondo contributo qui riportato, l’intervista alla commissaria Viviane Reding: l’impressione complessiva è che anche Jacques Delors e Henrik Enderlein (coautori del terzo articolo) – i quali preferiscono attestarsi su un piano più strettamente tecnico-economico – abbiano deciso per un’opzione meno “politicamente” esposta, e da essi definita diplomaticamente pragmatica e minimalista, soprattutto per motivi di opportunità politica, in particolare per superare le note resistenze francesi ad una qualsivoglia cessione di sovranità. Per aver comunque un quadro più completo dell’attuale momento politico europeo, di là dai retroscena da Bruxelles, appare opportuno non tralasciare né l’ultima intervista che Jürgen Habermas ha rilasciato a Donatella Di Cesare su Micromega del 19 novembre scorso, per il quale è proprio dalla crisi economica che può nascere l’Europa politica, né il testo di riferimento di Alberto Majocchi sulle Linee guida di un piano di sviluppo sostenibile per l’economia europea redatto lo scorso giugno per il Centro Studi sul Federalismo di Moncalieri (www.cs.federalismo.it), e secondo cui il punto decisivo resta quello politico di trasferire un potere limitato ma reale al livello europeo di governo. Com’è purtroppo ormai noto, il Consiglio non ha poi ritenuto di prendere in considerazione, almeno in questo momento, il blueprint per il consolidamento dell’Unione economica e monetaria che la Commissione aveva redatto proprio in vista di tale seduta, né il più ampio Rapporto sullo stesso argomento dei quattro presidenti delle Istituzioni europee più significative (quelle del c. d. “triangolo istituzionale” e della Banca Centrale), ma è un fatto che le problematiche nascenti dalla tormentata vicenda dell’unione monetaria ai più attenti osservatori si presentano oggi strettamente correlate all’avanzamento in senso federale della struttura dell’Unione Europea. Si potrebbe addirittura affermare che il principio della necessità di un governo economico europeo e di una federazione (sia pur definita talora “leggera”) sembra sia finalmente entrato a far parte a pieno titolo dell’agenda politica europea, volenti o nolenti i governi nazionali. È in questo senso che i prossimi mesi saranno decisivi in Europa, e segnati – più che dal rinnovo del parlamento italiano – dalle elezioni del Bundestag che avranno luogo nel settembre del 2013 e dalle elezioni del giugno successivo del Parlamento Europeo. Forse, un nodo cruciale della storia si avvicina per il nostro continente, e starà anche ai federalisti di Altiero Spinelli, in una qualche maniera, saperlo cogliere positivamente per un futuro migliore non solo dell’Europa.
Trapani, 15 dicembre 2012
Rodolfo Gargano
RETROSCENA DA BRUXELLES:
2018, NASCE LA FEDERAZIONE DELL’EUROZONA
di Jean Quatremer
Bruxelles, 2 dicembre 2012. – Un incrocio tra gli Stati Uniti e la Repubblica federale tedesca, ecco a che cosa dovrebbe somigliare la futura federazione della zona euro secondo la Commissione europea.
Anche se l’esecutivo europeo si guarda bene dal pronunciare la parola “federazione” (si preferisce la più mediatica espressione “unione economica e monetaria vera ed approfondita”…), è certamente un salto federale quello che essa propone di far fare agli Stati membri in una “comunicazione” di 55 pagine resa pubblica mercoledì. Un documento particolarmente ambizioso che mette fine alla solita prudenza di José Manuel Durao Barroso: egli non ha esitato a battagliare per più di cinque ore per fare adottare questo testo dal collegio dei 27 commissari.
Il presidente dell’esecutivo europeo si mette così in posizione di pesare sul prossimo Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo del 13 e 14 dicembre prossimo che deve adottare una road map che stabilisca le tappe che conducano all’unione politica della zona euro: egli teme, in effetti, che i governi approfittino della calma che regna sui mercati per rinviare a miglior tempo una integrazione, certamente dolorosa [per gli Stati] in fatto di trasferimenti di sovranità, ma assolutamente necessaria. “Il documento della Commissione, particolarmente ambizioso, è perfettamente compatibile con la nostra tabella di marcia”, si risponde compiaciuti tra i più stretti collaboratori di Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio europeo, che aggiunge l’ultimo tocco a questo documento, redatto in collaborazione con Jean-Claude Juncker, il Presidente dell’Eurogruppo, Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea e Barroso. “La differenza è che egli entra in dettagli che noi non affronteremo, perché potrebbero irritare qualcuno”. L’idea centrale dell’esecutivo europeo è di giungere in cinque anni ( al più presto, perché bisognerà modificare i trattati europei) alla messa in funzione di un “bilancio centrale significativo” della zona euro, che permetterebbe di far fronte a degli shock “asimmetrici” (cioè che riguardano alcuni soltanto degli Stati membri) o agli shock comuni alla zona euro.
La Commissione stima che esso potrebbe servire a mettere in atto delle politiche controcicliche a breve termine, “come per esempio avviene nel sistema americano dei sussidi di disoccupazione, in cui un fondo federale rimborsa il 50% dei sussidi eccedenti la durata standard fino a concorrenza di un massimo dato, con riserva che la disoccupazione abbia raggiunto un certo livello e continui ad aumentare”. Non si tratta, pertanto, di mettere in atto dei ”trasferimenti permanenti” di risorse, poiché ciò avrebbe degli effetti perversi incoraggiando l’irresponsabilità dei governi. Questo bilancio verrebbe alimentato da risorse proprie che non dipendono dagli Stati (come la tassa sulle transazioni finanziarie o la carbon tax). Ancor meglio: esso potrebbe fare ricorso al prestito, questo infatti sarebbe possibile con l’istituzione di un “Tesoro europeo”. Per la Commissione, solo questo “debito federale”sarebbe politicamente accettabile a differenza della mutualizzazione dei debiti nazionali. In effetti questa seconda opzione porrebbe un problema democratico: per esempio, perché la Francia sarebbe responsabile delle spese italiane quando non le ha votate? Si immagina un voto comune da parte dei Parlamenti nazionali di tutti i bilanci nazionali? Impossibile, evidentemente. D’altronde, nessuna federazione funziona così. Nello schema federale accettato dalla Commissione, la questione democratica può essere risolta senza difficoltà: il voto sulle risorse di bilancio e il ricorso al prestito verrebbero proposte dall’esecutivo e votati da Parlamento europeo e Consiglio dei ministri della zona euro.
La zona euro somiglierebbe, da questo punto di vista, agli Stati Uniti. Ma nel sistema istituzionale americano, dalla fine del XIX secolo, ogni Stato federato resta responsabile del suo bilancio e può fallire senza che lo Stato federale intervenga. La Commissione ritiene che la zona euro, che non è sufficientemente integrata da un punto di vista politico, non possa arrivare fin qui: un fallimento rischierebbe, in effetti, di spingere lo Stato che ne è vittima ad abbandonare la zona euro al fine di risanarsi con la svalutazione (anche se gli effetti benefici di una tale uscita restano da dimostrare) o i mercati a speculare su una tale uscita, come oggi avviene con la Grecia. Essa propone dunque di assicurare gli Stati contro un eventuale fallimento in cambio di un controllo rinforzato sui bilanci nazionali al fine di migliorare la convergenza e, in ogni caso, di evitare delle divergenze che potrebbero risultare fatali: di fatto, sarebbe il sistema attuale, approntato nell’urgenza della crisi, che sarebbe istituzionalizzato.
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) verrebbe pertanto “comunitarizzato” al fine di accordargli più spessore (decisione a maggioranza qualificata e non più all’unanimità). Perché un salto federale? La crisi della zona euro ha dimostrato che c’era una vera e propria incompatibilità tra una moneta unica e le politiche economiche e di bilancio sovrane. Non è in verità una sorpresa: fin dal 1991, al tempo del negoziato del trattato di Maastricht, gli Stati lo sapevano perfettamente. Ma siccome era troppo presto per proporre un vero salto federale, essi hanno rinviato ai loro successori la cura di perfezionare l’Unione economica e monetaria scommettendo sul fatto che l’entrata in vigore dell’euro avrebbe costituito uno shock sufficiente per spingerli ad accettare i trasferimenti di sovranità necessari. Ha avuto luogo esattamente il contrario: protetti dall’ombrello dell’euro che sembrava di cemento armato, il “ciascun per sé” è divenuto la regola… fino alla crisi del debito sovrano che è scoppiato nel 2010.
La Commissione e l’Eurogruppo (dove siedono i ministri delle finanze della zona euro) potrebbero, in contropartita, esigere la modifica dei bilanci nazionali che si allontanano dagli obblighi di disciplina di bilancio e addirittura porre un veto, il tutto sotto il controllo della Corte di giustizia europea. Si tratta di una vecchia idea francese: nel 1990, in un progetto di trattato preparato da Bercy, questa possibilità era stata prevista. Ma la Germania ritenne allora che ciò avrebbe posto una questione di democrazia. Non è più questo, ora, il problema, soprattutto da quando si è deciso di sostenere finanziariamente gli Stati in difficoltà. Una tale interdipendenza implicherà di coordinare le politiche economiche comprendendovi gli aspetti fiscali e sociali, finora esclusi dal campo comunitario. Così, tutte le riforme economiche “di grande apertura” verrebbero adottate in comune. La Commissione sottolinea, ed è una importante svolta politica, che bisognerà vigilare affinché la disciplina di bilancio non scoraggi gli investimenti e precisamente gli investimenti pubblici. Per fare ciò, in caso di una congiuntura negativa, saranno tollerati gli scostamenti in materia di deficit. Sempre per rafforzare la convergenza e saldare il passato, la Commissione vuole istituire un “fondo di ammortamento del debito”, così come proposto dal consiglio dei saggi composto di economisti tedeschi . L’idea è di mutualizzare i debiti nazionali che superino il 60% del PIL al fine di garantire il finanziamento del debito eccessivo ad un costo sostenibile e, così, permettere agli Stati, riducendo il loro livello di indebitamento, di investire e di rilanciare la loro crescita a lungo termine. Per evitare i problemi di tesoreria che incontrano gli Stati in difficoltà finanziaria , la zona euro potrebbe anche mutualizzare il suo mercato con titoli di credito a breve termine (uno o due anni) perevitare di alimentare la spirale dell’indebitamento. Non si tratterebbe di aumentare il livello di indebitamento, di permettere agli Stati di finanziarsi a tassi bassi. Come per i fondi di ammortamento, questi titoli (eurobills) sarebbero sottoposti ad alcune severe condizioni, e cioè, che gli Stati che ne beneficiano, debbano sottoscrivere un programma di riforme strutturali. Questo insieme verrebbe completato da una unione bancaria totale ( ivi compresa una garanzia comune dei depositi bancari) e una rappresentanza unica della zona euro nelle istituzioni internazionali. Prima di arrivarne ad una integrazione così forte, che implicherà una profonda riforma dei trattati europei, la commissione propone una serie di tappe intermedie “a trattati invariati”. Così, la capacità di bilancio della zona euro potrebbe essere realizzata progressivamente e verrebbe utilizzata, in un primo momento, per aiutare gli Stati che procedessero a delle riforme strutturali importanti per rimettersi a galla. Questi, per beneficiare dell’aiuto europeo, firmerebbero dei veri “contratti”. Allo stesso modo, gli aiuti regionali (fondi strutturali) non potrebbero più essere utilizzati se non per finanziare progetti che favoriscano la crescita. Un ennesimo fiasco nella comunicazione.
Ancora una volta, la Commissione ha brillato per la sua incapacità di comunicare. Certamente, questo importante progetto è stato annunciato venerdì scorso, ma in pieno vertice europeo, sulle prospettive finanziarie 2014-2020. Non avendo i giornalisti il dono dell’ubiquità, questo annuncio è largamente passato inosservato: tanto più che la Commissione non ha cercato di diffondere il suo documento affinché i media potessero giudicare della sua importanza e preparare degli articoli di conseguenza. Io stesso ho parlato con alcuni portavoce della Commissione al momento del vertice europeo e non me ne hanno fatto parola (stile:” Jean, fai una gaffe, la settimana prossima, esce un “mega trucco” rivoluzionario). Peggio: la conferenza stampa di Barroso ha avuto luogo mercoledì alla ore 16, in un’ora in cui i giornali non potevano più modificare le pagine, salvo che in presenzadi un avvenimento più grande, e mai lo sarà un documento della Commissione… Inoltre, a meno di essere un genio, era impossibile leggere in qualche minuto 55 pagine particolarmente complesse, analizzarle e scrivere un commento che non fosse intellegibile. Risultato: la stampa ha osservato un pietoso silenzio su quel documento. Al massimo, qualche breve articolo l’indomani e alcuni dispacci puramente fattuali. In altre parole, questo documento è caduto in un buco nero mediatico quando meritava infinitamente di più. A questo livello di incompetenza, questo diventa arte. Unico elemento positivo: questa comunicato è stato immediatamente disponibile in tedesco e in francese oltre l’inevitabile inglese. Anche se è vero che non sono gli anglofoni quelli da convincere…Questo documento è accettabile da tutti gli Stati? “Si sente in questo testo la mano della Germania”, dice un diplomatico europeo: questa non ha, in effetti, mai nascosto che auspicava, come prezzo della sua solidarietà finanziaria, realizzare una “stretta” massima sulle politiche di bilancio nazionali. Allo stesso modo il governo tedesco, se rifiuta ogni mutualizzazione dei debiti nazionali, pare opporsi molto meno alla creazione di un “debito federale”. In più, il documento della Commissione è compatibile con “l’integrazione solidale”che raccomanda François Hollande: per il capo dello Stato, ogni modifica dei trattati deve essere giustificata da un aumento della solidarietà. L’esecutivo europeo non dice altro: “la via da seguire deve essere accuratamente equilibrata. Conviene combinare le misure di rafforzamento delle responsabilità e della disciplina economica con una più grande solidarietà e un più grande sostegno finanziario” e “ assicurare la legittimità democratica e l’obbligo di rendiconto”. E per non disturbare nessuno, la Commissione non affronta di petto la questione istituzionale. poiché la logica vorrebbe che la zona euro disponga delle sue proprie istituzioni oppure che i commissari e i deputati europei non membri della zona euro siano privati del loro diritto di voto su tutte le questioni riguardanti la gestione della moneta unica. È immaginabile che un commissario britannico, svedese o danese si pronunci sui bilanci nazionali della zona euro? È concepibile che dei deputati europei non membri della zona euro votino su delle misure che non li riguardano,come l’emissione di euro-obbligazioni? Evidentemente no. In un quadro giuridico particolarmente oscuro, essa evoca la possibilità che le decisioni siano riservate solamente ai Diciassette, restando “aperte” agli Stati che hanno la vocazione a raggiungere l’euro… Un fronte che bisognerà un giorno o l’altro aprire, la Commissione lo sa : ”ma ci vorrà un asse franco-tedesco determinato per fare cessare il ricatto permanente del Regno Unito, cosa per nulla acquisita visto ciò che è successo la settimana scorsa al momento dei negoziati di bilancio”, suggerisce tuttavia un alto funzionario europeo.
(traduzione di Adriana Giustolisi)
UN’EUROPA FEDERALE COL CONSENSO DEI CITTADINI
Un’intervista del 13 dicembre 2012 di Libération alla lussemburghese Viviane Reding, 61 anni, del partito cristiano sociale, conosciuta per il suo fervente impegno europeo nonché per la sua abitudine a parlare francamente. Viviane Reding è vice presidente della Commissione europea e Commissario alla Giustizia, ai Diritti dell’uomo e alla Cittadinanza. La road map per una “Unione economica e monetaria vera ed approfondita” proposta 15 giorni fa dalla Commissione, mira a creare una federazione della zona euro? È un progetto sull’unione economica e monetaria, e non su una federazione europea. Questo blueprint, come si dice nel nostro gergo, evoca tutto ciò che è legato alla nostra moneta, ed unicamente questo. Non si riferisce, per esempio, alla difesa o alla giustizia. La crisi della zona euro ha dimostrato che non si poteva avere una politica monetaria federale, diciassette politiche economiche e di bilancio sovrane e nessuna solidarietà finanziaria tra gli Stati membri. La nostra tabella di marcia propone pertanto, in un primo tempo, di fare tutto quello che può essere fatto senza avventurarsi in una riforma dei trattati europei. Cioè, possiamo dire, non soltanto di rafforzare un poco la gestione comune dei nostri bilanci nazionali, ma anche di creare una “capacità di bilancio” propria alla zona euro per potere aiutare i paesi in difficoltà a condurre a buon fine alcune riforme strutturali: anche se esse possono avere, in un primo tempo, un effetto recessivo. Ma, per andare più lontano, bisognerà riformare i trattati. Noi indichiamo quello che è auspicabile che si faccia, come la creazione di un vero bilancio della zona euro, di un fondo di ammortamento del vecchio debito o l’emissione di euro-obbligazioni. Il sentiero è tracciato: bisogna andare più lontano di quanto si sia fatto sino ad ora.
Verso una federazione? Pierre Werner, il vecchio Primo ministro lussemburghese che fu incaricato, nel 1970, di elaborare il primo progetto di una Unione economica e monetaria, prevedeva già, accanto ad una banca centrale indipendente, un governo economico europeo, dotato di un ministro delle Finanze controllato dal Parlamento europeo. Egli sapeva che una moneta senza Stato non poteva funzionare, ciò che questa crisi ha da poco dimostrato. Per questo bisogna andare più lontano e creare uno Stato federale europeo con l’accordo dei cittadini europei. Bisognerà preparare bene questo salto. Fin qui, i dirigenti europei elaboravano dei trattati a porte chiuse, poi annunciavano la loro decisione ai popoli – invitandoli ad essere d’accordo. Bisogna invertire la direzione, cioè cominciare con una discussione pubblica su quello che si vuole fare insieme, prima di negoziare i trattati. Poi, una volta presa la decisione, farla ratificare dai popoli con una domanda chiara. È questa la democrazia. Già, si avvertono i primi cambiamenti. Le prossime elezioni europee del giugno 2014 saranno fondamentali, poiché le diverse grandi famiglie politiche – il PPE (Partito popolare europeo, centro destra), il PSE (Partito socialista europeo), i liberali, i Verdi, ecc. – presenteranno ognuna un candidato per la presidenza della Commissione europea. Colui che arriverà primo sarà automaticamente nominato dai 27 capi di Stato e di governo come gli stessi governi si sono impegnati a fare. Per la prima volta, queste elezioni avranno una vera dimensione transeuropea e non saranno, come troppo spesso è accaduto finora, una sommatoria di scrutini dominati da giochi nazionali o peggio locali . Il dibattito federale sarà all’ordine del giorno al momento delle elezioni? Certamente. Dapprima perché una parte degli eletti del 2014 siederà con i rappresentanti dei Parlamenti nazionali, delle istituzioni comunitarie e dei governi in seno alla Convenzione, che sarà incaricata di modificare i trattati. Il principio di questa Convenzione dovrebbe essere discusso dal Consiglio europeo fin da oggi, anche se comincerà a lavorare dopo le europee. Come accadrà in seno al Parlamento europeo, vi si dovrà definire la natura della futura federazione e il modo di costruirla.
Le Europee del 2014 saranno delle vere costituenti? Il parlamento sarà effettivamente una sorta di assemblea costituente, poiché la campagna dovrà farsi su quello che sarà l’Unione del futuro, le prerogative che le saranno delegate, quelle che resteranno agli Stati o che saranno loro restituite. A che cosa rassomiglierebbe questa Europa federale? Alcune settimane fa, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha affermato molto chiaramente – e a ragione – che la Commissione dovrebbe diventare il governo dell’Unione e che il Parlamento europeo dovrebbe vedere i suoi poteri di nomina e di controllo rafforzati. Bisognerà decidere sul modo di elezione del presidente di questo governo europeo: sarà eletto dal Parlamento o direttamente dai cittadini? La Francia è uno dei rari paesi che elegge a suffragio universale un presidente della Repubblica dotato di veri poteri. Ma, a mio avviso, il capo del governo europeo dovrebbe essere eletto dal Parlamento europeo, che rappresenta tutti i cittadini dell’UE.
Analogamente, i commissari dovranno essere scelti tra gli eletti. Per ciò che riguarda il potere legislativo, bisognerà mettere in atto un sistema a due Camere – come in ogni federazione – con la Camera dei Cittadini da un lato e, dall’altro, quella degli Stati che assomiglierebbe all’incirca alla Camera tedesca dei Länder.
La riforma dei trattati sarà adottata per referendum? Una volta definito il progetto, verrà il momento per i cittadini di decidere se vogliono o no far parte di questa Europa politica integrata. Io non so che cosa diranno i Francesi, ma so che i Lussemburghesi diranno di sì. A mio avviso, è necessaria una decisione chiara di ogni Stato, con un sì o un no che sia impegnativo. E bisognerà bene spiegarlo, affinché i cittadini votino con cognizione di causa. Non è rischioso avventurarsi in un tale progetto in un momento in cui i cittadini dubitano dell’Europa? Dubitano perché non è stato mai spiegato loro correttamente che cos’è il progetto europeo.
Io organizzo dei dibattiti ovunque in Europa – l’ho già fatto a Cadice, a Graz, a Berlino, e sarò a Marsiglia nel novembre del 2013. Appare chiaro che i cittadini non vogliono un’Europa al ribasso. O noi andremo verso più Europa, o il progetto europeo rischia di frantumarsi. Dobbiamo da noi stessi comprendere dove vogliamo andare affinché i cittadini facciano la loro scelta. Non ci potrà essere alcun salto federale senza il loro accordo. I sondaggi dimostrano che una grande maggioranza si sente “europeo”. Ma quando si domanda loro quello che cosa vuol dire ciò, non sanno granché e rispondono con un “boh”: ora, vorrei che più nessuno o quasi risponda con un “boh”…
(traduzione di Adriana Giustolisi)
ALCUNE PROPOSTE DI RIFORME PER L’EUROZONA
Jacques Delors – Henrik Enderlein1
Nell’unione monetaria europea, le sfide a lungo termine sono diventate le priorità del momento.
Dopo gli aiuti dati sotto la spinta dell’urgenza, ancorché condizionati ad alcune riforme, la questione della struttura della zona euro è infine passata in primo piano. Ora però ci si pone un’altra domanda: fino a che punto esattamente l’unione politica, l’unione di bilancio e un approccio solidale sono necessari per garantire il successo della moneta comune?
Questa crisi non è una crisi dell’euro. La moneta non ne è all’origine. Questa crisi deriva da incertezze e contrasti sulla politica economica da seguire per fare coesistere una moneta unica e diversi sistemi economici nazionali. Ora, per farli scomparire, sono possibili due opzioni: o l’Europa ritorna a diverse monete, cosa che minaccia l’avvenire del mercato unico europeo e con esso il futuro del progetto comune di integrazione politica, o l’Europa riesce a combinare sufficientemente i diversi sistemi economici in maniera da far meglio funzionare l’euro come moneta unica. Spesso, questa seconda opzione è confusa con il desiderio di un “Super Stato” europeo. Non è lo scopo cui dovremmo tendere. Si tratta piuttosto di domandarsi in concreto quali misure supplementari verso l’integrazione debbano essere prese affinché l’euro possa funzionare correttamente.
È esattamente a questa domanda che vuole rispondere un rapporto da poco apparso in tedesco e già disponibile in inglese e francese. Intitolato “completare l’euro” , è stato elaborato da un gruppo al quale noi apparteniamo, il ”gruppo Tommaso Padoa-Schioppa”, dal nome di uno dei precursori dell’unione monetaria. Noi non raccomandiamo una soluzione massimalista per vincere la crisi dell’euro. Se vogliamo assicurarci una larga accettazione delle prossime tappe dell’integrazione, il pragmatismo politico impone piuttosto la soluzione minimalista: bisogna aggiungere quel tanto di Europa che è necessario per rispondere all’urgenza, ma il meno possibile.
La prima sfida risiede nella tensione tra un elemento chiave dell’integrazione europea – il mercato interno – e le forti divergenze strutturali in seno all’Europa. Il mercato interno non è compatibile con le fluttuazioni dei tassi di cambio, poiché è allora sempre possibile ritrovare dei vantaggi a breve termine procedendo a svalutazioni competitive. Così, il progetto di una moneta comune è stata la risposta logica al mercato interno. Sfortunatamente, il primo decennio dell’unione monetaria ha con chiarezza dimostrato che la moneta comune, contrariamente all’ipotesi originaria, non ha condotto al rafforzamento della convergenza tra i paesi. La differenza fra prezzi all’interno della zona euro si è approfondita e non ridotta. Di conseguenza, i tassi di cambio fissati dalla Banca centrale europea alla fine non sono risultati accettabili a nessun paese. Questi tassi hanno avuto degli effetti nocivi e persino pro-ciclici, e per di più con tendenza ad auto-rafforzarsi per la maggior parte degli Stati membri. Tale situazione ha condotto a divergenze cicliche e squilibri eccessivi in seno alla zona euro, per cui la BCE ha dovuto mettere in opera una politica comune per uno Stato che non esiste. Per risolvere questa sfida, bisogna dapprima conseguire il completamento del mercato interno. Una zona commerciale totalmente integrata è necessaria per far funzionare una politica monetaria1 Jacques Delors, già presidente della Commissione Europea, è presidente fondatore di Notre Europe – Institut Jacques Delors, mentre Henrik Enderlein è professore di economia politica alla Hertie School of Governance e attualmente professore “Pierre Keller” alla Harvard Kennedy School, ricercatore associato a Notre Europe – Institut Jacques Delors e coordinatore del rapporto del Gruppo “Padoa-Schioppa” Parachever l’euro – Feuille de route vers une union budgétaire en Europe. Il Rapporto è disponibile in inglese, francese e tedesco sul sito di Notre Europe (www.notre-europe.eu) sul quale in data 14 dicembre 2012 è stato pubblicata la presente nota che ispirandosi ad un articolo apparso sul quotidiano “Die Zeit” ne esplicita ampiamente le conclusioni. comune più efficace ed evitare ogni inizio di divergenza ciclica. Non solamente il settore dei servizi è sempre ancorato all’80% nell’ambito nazionale, ma la mobilità delle persone al di là delle frontiere deve ugualmente fare i conti con ostacoli: i diritti al pensionamento non sono per esempio che difficilmente trasferibili da un paese all’altro.
In parallelo con tali misure di rafforzamento del mercato interno, è necessario compensare una parte delle disparità congiunturali all’interno della zona euro. Negli Stati Uniti o anche in Germania questo è stato effettuato in comune per il tramite di un sistema fiscale o di un’assicurazione contro la disoccupazione. Questi avanzamenti possono apparire di buon auspicio a degli europei convinti, ma non sono assolutamente urgenti. Nel nostro rapporto, proponiamo un fondo di stabilizzazione che mira a lottare contro le fluttuazioni cicliche eccessive. I paesi in pieno sviluppo contribuiscono a questo fondo mentre quelli in recessione ne beneficiano. In un tale sistema, sul lungo termine, i trasferimenti di risorse non si effettuano a senso unico. Se questo istituto fosse esistito nell’ultimo decennio, la Germania sarebbe stata beneficiaria sin dall’inizio negli anni di rallentamento della sua crescita. Durante il loro periodo di boom, l’Irlanda e la Spagna avrebbero contribuito al Fondo ed impedito l’improvvisa forte avanzata delle loro economie nazionali. Oggi, la situazione si sarebbe capovolta. Un tale sistema ridurrebbe le divergenze cicliche nella zona euro e favorirebbe così una migliore efficacia della politica monetaria della BCE.
La seconda sfida importante risiede nella tensione tra l’autonomia in materia di politica di bilancio e il coordinamento in seno all’unione monetaria. Fin dove giunge il potere degli Stati nazionali a decidere della propria politica di bilancio se tutti gli altri Stati sono ugualmente interessati da queste decisioni all’interno della zona monetaria? Noi non sosteniamo un trasfert completo della politica finanziaria a livello europeo, ma un regime “ per eccezione”.
In tempi normali, ogni paese è autonomo nella determinazione della sua politica di bilancio, in conformità alle regole conosciute in materia di politica finanziaria della zona euro. Nondimeno, se l’indebitamento di un paese diventa incontrollabile, un altro meccanismo deve essere utilizzato. In tali casi, il rapporto raccomanda che, in un’unione monetaria, la sovranità si arresta ogni qual volta [lo Stato nazionale] non ha più solvibilità. In pratica, ciò significa che quando uno Stato non ha più accesso al mercato finanziario, esso trasferisce progressivamente all’Europa la sua sovranità in materia di politica di bilancio, in contropartita di aiuti finanziari: più la sua dipendenza finanziaria nei riguardi dell’Europa è significativa, più grandi saranno le possibilità d’azione dell’Europa. Noi proponiamo ugualmente la creazione di un’Agenzia europea del debito (AED). Contrariamente al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), questo autorizzerebbe un abbandono progressivo di sovranità e, parallelamente, costituirebbe un incentivo ad una politica di bilancio responsabile.
L’Agenzia verrebbe garantita a livello comunitario ed emetterebbe delle obbligazioni comuni in proporzioni perfettamente misurabili. Noi parliamo di un finanziamento del 10% del PIL di ogni paese della zona euro. Così, la Germania potrebbe continuare a conservare più dell’80% dei suoi debiti pubblici sotto forma di obbligazioni di Stato. Allo stesso tempo, il mercato delle obbligazioni europee diverrebbe molto più liquido. Il vantaggio dell’AED sarebbe che uno Stato che non avesse più accesso al mercato finanziario a breve termine potrebbe ottenere rapidamente e in modo flessibile un finanziamento attraverso obbligazioni europee. In contropartita, questo dovrebbe accettare un trasferimento progressivo della sua sovranità. In casi estremi, i paesi il cui debito avrebbe superato il 60% del loro PIL, come stipulato a giusto titolo dal trattato di Maastricht, non potrebbero adottare il loro bilancio se non dopo l’assenso di questa Agenzia. È vero però che un tale processo necessita di un forte ancoraggio democratico, e per tale motivo noi siamo dell’avviso che debba assicurarsi il controllo parlamentare dell’Agenzia mediante l’istituzione di una commissione mista che riunisca rappresentanti dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo. Ci sembra importante migliorare le relazioni tra responsabilità comunitaria, sovranità condivisa e controllo democratico. Le nostre proposte, che sono da considerare come un complemento dell’attuazione dell’unione bancaria di cui oggi si discute, potrebbero costituire la base di un compromesso politico tra quelli che non vogliono responsabilità comunitaria e quelli che non vogliono trasferimento di sovranità. Per noi, queste proposte costituiscono un “federalismo per eccezione”. La responsabilità comunitaria non è la regola, ma una eccezione in contropartita di un abbandono di sovranità.
L’euro ha sempre avuto delle motivazioni politiche. La moneta comune si fonda sulla convinzione che il commercio genera più ricchezze e più scambi tra i paesi che vi partecipano. Pertanto, è vitale ed urgente consolidare l’Unione economica e monetaria, con delle riforme ad effetto rapido ed un compromesso politico sulla sovranità condivisa nella zona euro.
(traduzione di Adriana Giustolisi)